Lontano da noi. La solitudine ai tempi del COVID

DISTANZIAMENTO SOCIALE E ISOLAMENTO: QUALI DANNI?

Cominciare e finire seguendo le orme di Calvino: cominciare è il momento della scelta, del distacco dalla molteplicità dei possibili, del darsi regole e limiti per arrivare e finire.

Quanto sia difficile cominciare ed anche finire, darsi dei confini per contenere e perciò poter condividere, lo sperimento personalmente ogni giorno.

In questo momento così confuso e privo di regole (la confusione e la contraddizione tra le regole emanate le rende prive di contenuto decifrabile  quindi, per molti, prive di valore), in questo momento pensare all’esperienza di SARA’  mi ha fatto tornare alla mente un passaggio de “Le Città Invisibili” di Calvino,  autore che tornerà spesso, come un filo rosso in questa riflessione.

Dice il Gran Kan: – tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.

E Polo: – L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.-

Cosa SARA’, come SARA’ il futuro della nostra città, possiamo immaginarlo attraversando questi tempi del COVID?

Vi invito ad un percorso, ad una camminata attraverso ciò che ci sta accadendo in questi tempi, seguendo come itinerario le parole che mi avete dato come titolo/traccia.

LONTANO DA NOI: confini, limiti, dentro e fuori
SOLITUDINE, ISOLAMENTO
Consolare, commuoversi, aver cura di se stessi, degli altri, della natura
DISTANZIAMENTO SOCIALE, prossimità, abitare il limite
DANNI: solamente danni o anche opportunità?

SARA’ : LEGGEREZZA O INFERNO?

L’esperienza che stiamo vivendo e che abbiamo vissuto più duramente durante il lockdown è stata assolutamente straordinaria e ci ha trovati, tutti, impreparati.Lo stare dentro, soli nella propria casa, nella nostra stanza, spesso lontani dalle relazioni più significative, penso soprattutto ai giovani lontani dalla scuola, dagli amici; lo stare fuori dalle stanze della cura dei propri cari, che tanti hanno sperimentato;tutto questo è qualcosa che non avremmo mai pensato di poter vivere, ma è ciò che tuttavia molti hanno vissuto, questo ancora stiamo vivendo.

Continuiamo a sperimentare questa lontananza quando qualcuno che ci è caro viene ricoverato, o anche “solo”  quando dobbiamo sottoporci ad una quarantena preventiva.

Scopriamo che ci vuole una grande capacità per comunicare con chi sta “fuori”, dall’altra parte, che occorre rendere trasparenti le nostre mura, più porosi i nostri confini, “tendere una mano”, costruire ponti di comunicazione, e accorgersi che i nostri attuali, pur importantissimi mezzi di comunicazione, non bastano.

LONTANO DA NOI, perché?

Perché gli altri sono in un’altra stanza, perché sono in un “OLTRE” che sta fuori a tutto ciò che conosciamo, perché ci sono distanze e limiti che non abbiamo mai considerato. Lo stare da un altra parte, mentre vorresti “essere con”, è angosciante, la rabbia è legittima, il dolore interno veramente complesso, ci sentiamo lontani anche da noi stessi.

Quando noi esseri umani ci troviamo di fronte a qualcosa che non possiamo modificare, siamo chiamati a fare un grande e doloroso esame di realtà, lasciare andare il nostro senso di onnipotenza e considerare quel qualcosa come una condizione nella quale vivere, senza rifugiarci in un mondo interiore ancor più denso di angoscia.

Dividiamo continuamente le emozioni in positive e negative, senza renderci conto che non c’è niente di positivo o negativo in sé, ma esistono i significati che noi diamo a ciascuna emozione in momenti differenti. Viviamo emozioni contrastanti come tristezza/euforia, malinconia e rimpianto/ speranza e fiducia nel futuro. Se sappiamo accogliere queste emozioni dentro di noi, se sappiamo dar loro un nome, sentendole parte di noi e riconoscendole in chi ci sta vicino, allora possiamo aiutarci tantissimo.

Il dialogo con gli altri, il confronto, sono un passo fondamentale per trasformare il dolore e per osservare le esperienze da un altro punto di vista che consenta un cambiamento di prospettiva. Le esperienze dei gruppi di auto-mutuo aiuto per il lutto sono testimonianza dell’importanza di trovare spazi di condivisione.

Dobbiamo poter riconoscere la vita anche nelle esperienze più difficili, prima di tutto accettando che la realtà è questa, poi accettandone le conseguenze, ad esempio che certi aspetti della nostra vita “passata” sono cambiati radicalmente, e perciò andare avanti,  apprezzando la nuova vita che emerge dalle difficoltà stesse (e non soltanto malgrado le difficoltà).

DANNI?: ce ne sono già tanti e molti ancora coglieremo nella vita delle persone e nelle relazioni col proseguire di questa pandemia.

Dovremo essere capaci di affrontare le sfide di questo momento di crisi mondiale con un atteggiamento resiliente, che inneschi strategie flessibili ed adattive per far fronte alle difficoltà che ogni giorno ci si presentano, cogliendone anche le OPPORTUNITÀ.

Esistono diversi tipi di intelligenza, non solamente quella di una mente razionale e “sapiente”, occorre mettere in gioco altri “strumenti” che possediamo, ma che spesso non sappiamo usare: l’intelligenza emotiva, il riconoscimento e la capacità di dare un nome a ciò che proviamo; l’intelligenza somatica, l’ascolto  della voce del nostro corpo e dei suoi segnali; l’intelligenza relazionale che implica comprensione e compassione nei confronti di se stessi e degli altri; l’intelligenza riflessiva, che non significa “ruminare”, ma avvicinarsi a pratiche riflessive, come ad esempio la meditazione, per fare “un passo indietro” ed esaminare pensieri ed emozioni legati a regole o sistemi di credenze, che non sono utili in questo momento.

Per tutti noi c’è stato un uragano… “Il trauma è un evento inatteso, imprevedibile, ingovernabile. Nessuno si salva da solo, l’individualismo non serve. Bisogna essere non solo prudenti, ma anche audaci per immaginare un mondo nuovo.” (M. Recalcati)

DISTANZIAMENTO SOCIALE: una delle espressioni più brutte utilizzate in questo periodo per richiamarci alle limitazioni imposte per la nostra sicurezza.

La ritengo una locuzione feroce e dis-umana che rimanda ad un concetto negativo di limite, e provoca più rabbia e ribellione che ricerca di una vicinanza responsabile. La parola limite nel linguaggio quotidiano, non ha significato positivo. Nessuno vuol sentire parlare di limiti o, peggio, essere limitato.

LIMITE evoca spesso il concetto di ostacolo, tabù, divieto, proibizione, semaforo rosso, segnale di stop, barriera inviolabile, confine, frontiera, handicap, inferiorità, vincolo, condizionamento, ecc.

Utilizzato positivamente il concetto di limite, diventa risorsa, regola. L’etimologia latina di limite significa viottolo, linea che fa chiarezza, tracciato dirimente, e dunque consapevolezz. Nell’accezione positiva ABITARE IL LIMITE significa assunzione della propria finitezza, della propria parzialità e dell’essere in relazione con…

Dal punto di vista storico oggi vuol dire che siamo consapevoli di non abitare più una dimora sicura, una fortezza che salva noi e abbandona gli altri al loro destino. Abitiamo dunque il viottolo, nel tempo della complessità e dell’incertezza non possiamo che abitare il limite, cioè il margine, la strada …

( RIF. 37* Convegno CEM MONDIALITA’)

Il filosofo Emmanuel Lévinas sostiene che quando l’uomo dimentica di abitare il limite, non è più capace di prossimità; è solo abitando il limite che si potrà dire “eccomi” al volto dell’altro che ci fa visita.

Senza il limite dunque non sarebbe possibile il faccia-a-faccia, la reciprocità, la prossimità, che diventa risposta responsabile,  prendersi cura.

“Siamo chiamati a diventare responsabili della relazione con gli altri”.

Per FINIRE SARA’ LEGGEREZZA

Italo Calvino, guardando nel complesso il proprio lavoro di scrittore, lo definisce “una operazione … di sottrazione di peso”, e forse questa è una strada da esplorare: alleggerire il linguaggio, le relazioni, le esperienze dal peso “in più”, difficile da portare e inutile.

“La leggerezza è un valore, non un difetto…
La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.

Paul Valery ha detto: “Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume.”

Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro…il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi (Lucrezio), evitiamo che il peso della materia ci schiacci.

(Italo Calvino, Lezioni Americane: La Leggerezza)

Leggerezza dunque non è superficialità ma un’ottica diversa con cui osservare ciò che ci accade, a volte una visione indiretta, attraverso la metafora, l’immagine, l’aggiunta di più sguardi, lo sguardo di chi ”viene da fuori”, come accade nelle esperienze con i gruppi.

Patrizia Buda – Psicologa, psicoterapeuta, curante e curiosa.